A Bruxelles soffia un vento nuovo che potrebbe ribaltare anni di certezze sul futuro dell’auto. E questa volta non si tratta di chiacchiere da bar.
Chi l’avrebbe mai detto solo qualche mese fa. Il 2035 doveva essere l’anno della svolta definitiva, quello del grande addio ai motori termici. Una data scolpita nella pietra, almeno così sembrava. Ma il mondo dell’auto è fatto così: quando pensi di aver tracciato la rotta, ecco che il mare si agita.
Prima qualche mugugno delle case automobilistiche, poi le perplessità dei governi nazionali. E adesso? Adesso arriva la vera bomba. Il Partito Popolare Europeo non ci sta più. Come un elefante in una cristalleria, il più grande gruppo politico dell’Europarlamento ha deciso di rompere gli schemi.
Niente più tabù: i motori termici devono poter sopravvivere anche dopo il 2035. Non tutti, certo. Solo quelli alimentati con carburanti alternativi. E gli ibridi plug-in? Anche loro meritano una chance, dicono da Bruxelles.
Sembra quasi di sentirlo, il sospiro di sollievo delle case automobilistiche. D’altronde, i conti sono presto fatti. Solo per il 2024 rischiano multe per 15 miliardi di euro se non rispettano i limiti sulle emissioni. Una mazzata che farebbe tremare anche i colossi più solidi. Persino Volvo, quella Volvo che sembrava la più convinta della svolta elettrica, ora tentenna. “Forse continueremo con i motori termici anche dopo il 2030”, ammettono a denti stretti.
Ma non è solo questione di soldi. Nei corridoi degli stabilimenti europei si respira aria pesante. La Germania, patria dell’auto per eccellenza, vive giorni di tensione. Volkswagen parla apertamente di chiudere tre fabbriche. Tre fabbriche, non tre officine di quartiere. Migliaia di posti di lavoro in bilico, famiglie con il fiato sospeso.
Il mercato europeo non è uno scherzo: 27 paesi, centinaia di milioni di potenziali clienti. Se qui le auto termiche vengono messe al bando, il contraccolpo si sentirà ovunque. Come in un effetto domino, alcuni modelli potrebbero sparire per sempre. Non per scelta, ma per necessità: senza il mercato europeo, i conti non tornerebbero più.
La verità? La transizione elettrica somiglia sempre più a un salto nel buio. Un salto che qualcuno vorrebbe fare con il paracadute ancora chiuso. Ma ora il vento sta cambiando. Il futuro dell’auto europea potrebbe essere molto diverso da quello che ci avevano raccontato. Più sfumato, meno drastico. Più realistico, forse. Di certo meno ideologico.
La palla ora passa ai piani alti di Bruxelles. La decisione peserà come un macigno sul futuro della mobilità europea. E questa volta non si tratta solo di ambiente o tecnologia. In gioco c’è molto di più: posti di lavoro, tradizioni industriali, il destino stesso di un settore che ha fatto grande l’Europa.
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