Fase delicatissima per il Gruppo Stellantis che, dopo un inizio convincente, sta cominciando a soffrire i morsi di una crisi profonda.
Il tracollo di tanti colossi dell’industria dell’Automotive nasconde, in realtà, un declino generale del car market 2.0. La vecchia guardia non è più interessata ai veicoli a quattro ruote moderni, mentre una nuova gen è pigra e non vede più l’automobile come uno status symbol. Per molti ragazzi è diventato uno smartphone mobile per spostarsi da un punto A ad un punto B.
In questo scenario i piccoli marchi sono stati mangiati da quelli più grandi. Sono nate collaborazioni per unire le forze e fronteggiare l’ondata di novità che arrivano dalla Cina. La transizione elettrica ha incancrenito una intera filiera che sarebbe andata in crisi lo stesso. Prima lo scandalo del dieselgate, poi la crisi dei microchip e i ritardi nelle consegne durante la fase del Covid-19, sino agli ottimistici proclami elettrici che hanno portato i clienti a tenersi strette le proprie care vecchie auto con motori a combustione interna, con buona pace dei pianti di Greta Thunberg e delle prese di posizione dei vertici dell’U.E..
FCA, dopo la morte di Marchionne, aveva bisogno di un nuovo corso. I ritardi sulla tecnologia alla spina hanno spinto il Presidente John Elkann a legarsi con i cugini francesi di PSA. Dopo un paio di anni positivi sono cominciati i primi scossoni, dettati da una crisi sull’elettrico annunciata. La FIAT è corsa ai ripari con il rilancio di tante vetture iconiche del passato in una veste moderna, ma tanti altri brand appartenenti a Stellantis sono piombati in una crisi senza precedenti. I fatturati piangono e il tempo per risollevare la china scarseggia. L’Italia aveva nell’industria automobilistica uno dei suoi fiori all’occhiello sino a pochi anni fa, ma oggi il settore è cambiato e la produzione si è spostata sempre più a Est.
Il major italo-francese sta preferendo altri lidi dove realizzare vetture a prezzi molto più bassi e con meno burocrazia. L’a.d. Carlos Tavares ha annunciato che la produzione in Europa è divenuta molto svantaggiosa, tuttavia non vi sono notizie positive nemmeno nella vicina Gran Bretagna, uscita dall’U.E. da qualche anno.
E’ oramai certa la chiusura dello stabilimento Vauxhall di Luton, nel Regno Unito, con il contestuale licenziamento di 1.100 dipendenti. Nella factory dove vengono assemblati i veicoli commerciali calerà il sipario a causa dell’all-in sull’elettrico. C’è necessità di concentrare la produzione dei furgoni elettrici presso l’altro stabilimento a Ellesmere Port, nel Cheshire, sempre nel Regno Unito. Vi sarebbe lavoro in un impianto aggiornato con un rinnovato reparto carrozzeria e un’area preposta all’assemblaggio della batteria, ma i dubbi relativi a strategia green rimangono tanti.
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