L’appuntamento australiano della F1 ha messo in luce una realtà. In direzione gara e negli uffici della Federazione impera la confusione.
Il GP di Abu Dhabi 2021 ha evidentemente creato un precedente o meglio ha portato in superficie qualcosa che era sempre successo, ma che fino ad allora si riusciva a nascondere. Il modo in cui Michael Masi, in quel momento a capo della direzione corsa della F1, gestì le cinque tornate conclusive, neutralizzate dalla safety car, entrata per l’incidente occorso alla Williams di Nicholas Latifi, rimase per mesi al centro delle discussioni. L’aver dato l’ultimo via in fretta e furia, senza che i doppiati tornassero a pieni giri fece sorgere parecchi dubbi sull’onestà del suo comportamento. Senza contare che proprio questa decisione portò al successo iridato di Verstappen e alla sconfitta del favorito Hamilton.
Senza nulla togliere a Max che ha molti meriti e nel 2022 ha comunque saputo confermarsi, quell’evento ha rappresentato una sorta di spartiacque. Non è infatti più esistito un gran premio capace di mettere tutti d’accordo. La FIA si è sempre messa in mezzo con manovre opinabili, quasi che ci fosse un disegno, una volontà di favorire qualcuno.
Certo, sono affermazioni forti, queste, ma non si salta domenica in cui non si finisca con lo storcere il naso davanti ai provvedimenti presi dai federali. Non è un’eresia sostenere che il Circus amministrato da Stefano Domenicali e da Liberty Media sia alla ricerca soltanto dei massimi introiti. Lo sport è innegabilmente passato in secondo piano, mentre in pole position è stato messo lo spettacolo. Tutto nasce e muore lì. Senza rispetto per gli appassionati veri, o per i protagonisti stessi della carovana. Che siano i piloti o lo staff al seguito. Per amore dei soldi la massima categoria si è venduta l’anima.
Una prova, l’ennesima, l’abbiamo avuta all’Albert Park. Una corsa da 58 giri disputata con meteo favorevole è partita alle 7 del mattino ora italiana, e si è conclusa verso le 9:35. Qualcosa di estenuante e spezza nervi, oltre che immotivata.
Sullo stile delle competizioni americane che, sebbene i vertici della categoria tentino di insabbiare, restano l’obiettivo della trasformazione in atto, non appena una macchina esce il gran premio viene prima rallentato con la vettura di sicurezza e poi stoppato, anche quando non ce ne sarebbe bisogno.
A Melbourne ne abbiamo avuto un clamoroso esempio che, come due anni fa a Yas Marina, ha finito per danneggiare qualcuno. La red flag fatta sventolare a due giri da quella a scacchi, non ha avuto senso. E i driver, in coro, a caldo, lo hanno dichiarato senza paura.
La monoposto di Magnussen era ormai al sicuro e malgrado la presenza di detriti sull’asfalto, con la SC in azione, la questione avrebbe potuto essere risolta diversamente. Ed invece, si è optato non solo per l’interruzione, ma altresì per un restart a freddo da fermi che ha portato al patatrac, con diverse macchine coinvolte in incidenti e dentro un’altra rossa.
In particolare possiamo solo immaginare cosa possa aver provato Pierre Gasly, autore di un ottimo GP con la non particolarmente competitiva Alpine, destinato ad un quinto posto, mai concretizzato a causa dell’impatto con il compagno di squadra Ocon. O ancora l’amarezza di Carlos Sainz, in lotta per il podio, ma per il contatto con Alonso, subito penalizzato di 5″ e quindi 12esimo assoluto.
E’ innegabile che ci sia più di qualcosa da rivedere. Non è possibile che ogni qualvolta ci si trovi a guardare una corsa, la sensazione è che sia manipolata. Altro aspetto da sistemare sono i commissari di pista, ogni anno che passa sempre meno preparati e reattivi. In Australia abbiamo avuto il caso di George Russell, con il motore della sua Mercedes in principio di incendio e costretto, una volta smontato dall’abitacolo a richiamare gli steward perché andassero eventualmente ad estinguere le eventuali fiamme.
Insomma, Masi è stato rimosso e poi defenestrato. Al suo posto sono arrivati due dirigenti. Ora si è tornati ad uno solo, ma il caos regna lo stesso sovrano. L’ingranaggio si è inceppato. E il timore che le gare vengano decise a tavolino dagli uffici e non dalle forze in campo si sta facendo sempre più vivo e forte. Urge dunque un reset prima che sia troppo tardi e la classe regina perda totalmente di significato e credibilità.
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