La Ferrari ha un potenziale inespresso, che non riesce a venire fuori. Ecco a cosa possono essere dovuti i problemi della nuova Rossa.
C’è tanta frenesia in casa Ferrari, nel tentativo di dare un senso ad una stagione che pare già essere compromessa. Prima dei test invernali c’era una fiducia enorme a Maranello, nella consapevolezza che questa monoposto avrebbe potuto sfidare alla pari la Red Bull per il titolo mondiale.
Come troppo spesso accaduto in questi ultimi 15 anni, è ancora una volta mancata la correlazione tra simulazione e pista, ed i risultati sono davanti agli occhi di tutti. A questo punto, occorrerà capire i motivi del mancato successo, nella speranza di poter correggere tutto in fretta in queste settimane.
La Ferrari SF-23 sarebbe dovuta essere la Rossa più veloce della storia, così aveva detto l’amministratore delegato, ovvero Benedetto Vigna, nel giorno della sua presentazione, quel 14 febbraio scorso che oggi sembra lontano anni luce. Secondo quanto dicevano gli ingegneri, quest’auto risultava più rapida di un secondo al giro rispetto alla vecchia, ma la pista ha dato un altro riscontro.
Soprattutto in quel di Jeddah, si è visto un netto passo indietro sul fronte delle performance, con tempi ben più alti rispetto al 2022. A questo punto, pare evidente che ci ritroviamo di fronte a dei seri problemi di correlazione dei dati tra simulatore, galleria del vento e la pista, un qualcosa che lo scorso anno era capitato anche alla Mercedes dotata della filosofia no sidepod, concetto che ora verrà abbandonato.
Quanto accaduto con l’ala posteriore mono-pilone in Bahrain è una prova provata del fatto che in Ferrari qualcosa non ha funzionato, e che sarà molto complesso cercare di raddrizzare tale situazione. Le prime due gare hanno permesso di raccogliere molti dati, in vista degli sviluppi che arriveranno a partire da Baku, dove si correrà tra un mese.
Ad una correlazione poco efficiente si aggiungono i problemi di set-up, confermati dall’enorme differenza che c’è tra il giro secco e le prestazioni sul passo gara. La gomma Dura, inoltre, è il vero e proprio incubo, mentre nei test sembrava la mescola con la quale questa vettura riusciva ad essere più competitiva.
Il discorso correlazione dati sembrava essere stato risolto lo scorso anno, ma con le nuove regole, ovvero prima la direttiva tecnica TD39 dello scorso anno, ed ora con i marciapiedi del fondo rialzati di 15 mm, qualcosa è tornato a non funzionare, ed è complesso pensare di risolvere il tutto in pochi mesi.
La Ferrari si era presentata al primo round di Sakhir con seri problemi di bilanciamento, e con un assetto del tutto errato. Sin dai test invernali, disputati una settimana prima della gara, tutti erano rimasti sorpresi nel vedere che la Rossa era andata in pista con un’ala posteriore da medio-basso carico, che in genere viene utilizzata su piste come quella del Canada, dove i lunghi rettilinei la fanno da padrone.
In Bahrain, invece, c’è un tratto centrale che mette alla frusta le gomme, e quell’ala non era di certo la più adatta. Nelle libere 1 era stata provata quella mono-pilone ad alto carico, subito bocciata per via di problemi che la portavano a muoversi in maniera eccessiva. Questo pezzo è stato poi rimontato a Jeddah, ma non è che si sia visto chissà quale progresso.
Dopo la prima gara, Frederic Vasseur aveva accusato un set-up errato e non la validità del progetto in sé e per sé, ed è chiaro che dal punto di vista dell’assetto ci sia qualcosa che non va. Il nuovo team principal ha infatti detto che è inspiegabile vedere una monoposto che è in grado di giocarsi le pole position che poi diventa quarta forza in gara, ad un secondo e mezzo di distanza a giro nei confronti della Red Bull.
Dopo la tappa di Melbourne, prevista per questo week-end e che verrà corsa in difesa, ci sarà uno stop di quasi un mese prima di Baku, e sarà fondamentale sfruttarlo al meglio per cercare di recuperare terreno. A quel punto, scopriremo se il set-up può essere una delle reali cause della crisi di Maranello, o se questo progetto è realmente da accantonare.
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