Cosa fare se ci si trova tra le mani un raro modello di Ferrari sporco e arrugginito? Gli esperti del restauro svelano i passi da compiere.
Metti un giorno l’incontro con una meravigliosa e costosa Ferrari 250 GT California del 1958, di cui esistono ancora solamente quarantasei esemplari. Come ci si deve comportare, specialmente se vista da fuori, e pure da dentro, è da buttare via? Ce lo spiegano quelli di Restoration Kamasutra. Il primo passo è rimuovere la carrozzeria per vedere cosa si può salvare del telaio. Quindi il motore, specialmente se è tutto sporco come in questo caso. Via pure le ruote e per quanto concerne le portiere, ridurle alla sola lamiera.
A quel punto si può cominciare a trattare la carrozzeria, ripulendola completamente dalla ruggine e da tutti gli agenti che l’hanno intaccata. Dopo averla grattata e ricoperta di antiruggine, si procede con un primo strato di pittura, ovviamente rossa e alla fine si chiude con la lucidatura.
Sistemata l’estetica, si passa agli interni. Ciò che non è più utilizzabile va sostituito, il resto riportato alla normalità e ripristinato con cura. Più pezzi originali vengono mantenuti, più l’affascinante bolide riesce a mantenere intatto il suo valore.
Quindi, lo step successivo riguarda il motore. Se funzionate, andrà tirato a lucido e basta. Altrimenti bisognerà mettersi alla ricerca delle componenti utili per farlo tornare a ruggire. Montato tutto al suo posto si potrà partire.
Il gioiello della casa di Maranello di cui abbiamo raccontato un potenziale restauro, è stato prodotto dal 1957 al 1963. Due erano le serie a disposizione. Una a passo lungo, denominata LWB (2600 mm), presente sul mercato dal ’58 al ’60. E una passo corto, o in abbreviato SWB (2400 mm), in commercio dal ’60 al ’63.
A fronte di una sempre maggiore popolarità del marchio, determinato a conquistare anche gli Stati Uniti, si decise di fare qualcosa in più e dare vita ad una macchina costruita ad hoc sulle esigenze dei potenziali clienti a stelle e strisce. Il progetto fu ad opera del designer John Von Neumann, che lo propose all’importatore ufficiale Luigi Chinetti, il quale a sua volta informò Enzo Ferrari che ne rimase entusiasta.
Dalla carta alla realtà il passo è breve e subito uscirono dalla fabbrica 106 repliche, di cui nove costruite in alluminio. Inizialmente venne definita spider, anche se le caratteristiche sono quelle di una cabriolet dotata di tettuccio apribile.
Alla base di questo veicolo c’erano le berlinette in voga in quel periodo e di cui condivideva freni, sterzo e sospensioni. L’unica diversità, al di là della potenza, era il tetto. La carrozzeria è a firma Scaglietti. Tutto era realizzato in acciaio, tranne le porterie e il cofano, in alluminio.
Tutti gli esemplari furono allestiti con la guida a sinistra, mentre progressivamente dai freni a tamburo si passò a quelli a disco. Il propulsore era un V12 da 3 litri, con distribuzione a monoalbero per bancata, con le candele inserite nella V. Al principio fornito di bobina di accensione, fu poi aggiornato con una doppia bobina e il distributore.
La vettura si distinse pure nelle competizioni, ottenendo come miglior risultato un quinto posto alla 24 Ore di Le Mans del ’59 con Bob Grossman e Fernand Tavano al volante.
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